Il “pane de oro”: curiosità sulle origini del pandoro

Categoria: Pasticceria 

Il pandoro, famosissimo dolce natalizio di origine veronese, affianca da sempre il suo rivale milanese sulle tavole italiane durante le festività. Senza entrare nel merito di una disputa irrisolvibile e poco sensata fra i due, si può dire che, rispetto al panettone, il pandoro lascia pochi dubbi sulle proprie origini.

Si sa con certezza che il 14 ottobre 1894 un pasticcere, Domenico Melegatti, sottopose all’ufficio brevetti del Regio Ministero dell’Agricoltura e del Commercio la ricetta per un nuovo dolce di Natale, simile per struttura al pan brioche e dalla particolare foggia stellata. Proprio la sua forma suggerisce di trovarne le origini nel meno conosciuto nadalin, una preparazione natalizia veronese molto più antica. La consistenza, invece, sembra essere riferibile ad una cultura culinaria austriaca piuttosto che francese, ricordando da vicino il Pane di Vienna. Il suo nome, probabilmente mutuato da un ulteriore dolce veneziano, descrive perfettamente il colore che lo contraddistingue, dato dall’uso di uova per la finitura e dal contenuto zuccherino della pasta.

Esiste comunque una variante più leggendaria dell’origine del dolce, secondo la quale Melegatti si limitò a perfezionare un dolce frequente sulle tavole dei dogi veneziani, cioè la famosa brioche francese: difficile stabilire se si tratti di più che di un’ipotesi. Ciò che fa propendere per la prima e più solida versione è che Melegatti era un curioso sperimentatore e amava rinnovare le ricette tradizionali, a cui affiancava la propria alta abilità di pasticcere. L’interesse per la pasticceria e le migliorie tecniche del suo laboratorio gli permisero di ottenere prodotti che lo distaccarono nettamente dalla media e fecero fare passi avanti alla scienza culinaria.

Oggi siamo abituati a considerare il pandoro come un dolce tipicamente natalizio, e non tutti sanno che nell’idea originale Melegatti cercava una preparazione che si potesse adattare a molte occasioni diverse. Per giungere alla ricetta conclusiva si ispirò come abbiamo visto al nadalin ma anche al cosiddetto levà, di cui si propone di migliorare la lievitazione per ottenere una pasta molto più soffice. A questo scopo decide di eliminare l’uvetta ed i pinoli. Aumenta invece molto le quantità di zucchero, uova e soprattutto burro, predisponendo un impasto che possa acquistare molto volume.

La lavorazione richiese ben trentasei ore con sette cicli di impasto e quasi dodici ore di lievitazione. Naturalmente, soltanto con forni adatti la produzione del pandoro poteva diventare economicamente interessante, e questo Melegatti ben lo sapeva. Riuscì però ad ideare un forno speciale, che potesse mantenere una temperatura costante e che evitasse quindi la produzione di una crosta superficiale, a cui affiancò l’uso di uno stampo metallico a forma di stella ad otto punte. Il pandoro era nato.

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