La cucina povera toscana, quando restare a pane e acqua non è poi così male

Categoria: Cucina 

Il pane è uno dei cardini della cucina del bacino mediterraneo ed è naturale che la cucina toscana, come altre in Italia, lo metta alla base di molte preparazioni popolari. Simbolicamente, il pane è la rappresentazione stessa del nutrimento e l’acqua ne è il necessario accompagnamento. L’uno scaccia la fame, l’altra la sete: i due più crudeli nemici degli umili.

La cucina povera toscana ed in particolare fiorentina ha fatto del riuso del pane vecchio un’arte, e guardando in faccia la realtà delle vite contadine si potrebbe dire che la regola fosse di fare “di necessità virtù”. Gli avanzi di pane raffermo non venivano sprecati.
Si pensa subito certo alla ribollita, ma si può citare anche la zuppa di cavolo, la pappa col pomodoro, la panzanella, il cavolo con le fette, l’acqua cotta, le fettunte, o le semplicissime ma buonissime bruschette all’aglio. O la panata, già presente nel Trecento e riferita anche da Pellegrino Artusi.

Le preparazioni maremmane sono probabilmente le più semplici e le più suggestive nel mostrarci una società contadina estremamente povera, a contatto con un ambiente naturale particolarmente aspro e duro – dove dominavano le paludi e la malaria. Le fettunte, ad esempio, non sono che fette di pane del giorno prima, lievemente abbrustolite e grattate con l’aglio, unte da una generosa quantità di olio d’oliva. La più gentile acquacotta, invece, presupponeva fette trattate allo stesso modo ma su cui venivano poi versate alcune mestolate d’acqua in cui si erano fatte bollire delle manciate di erbe di campo e, se c’erano cipollotti e pomodori freschi. Si tratta della più pura cucina delle campagne.

La panzanella, invece è una zuppa fredda di natura più urbana e non è un caso che si trovi a Firenze la prima citazione al riguardo. Gli elementi di base, anche qui, sono pur sempre il pane e l’acqua – è anche detta pan bagnato – ma vi si accompagnano aromi e verdure fra cui soprattutto la cipolla, il cetriolo ed il basilico, a cui più tardi si aggiunge il pomodoro. La panata medievale, tradotta poi in tempi più moderni, è una minestra in cui il pane viene grattugiato e accompagnato a uova, formaggio – o meglio cacio – sale e, per chi poteva permettersela, noce moscata.

L’importanza del pane nella cucina popolare viene probabilmente definita da queste due origini: la semplicità dei ceti sociali meno abbienti e contadini e, in città, dall’usanza fiorentina di distribuire ai poveri gli avanzi delle mense dei signori. Il pane era onnipresente in entrambi i casi. In campagna era determinato dalla scarsità di altre pietanze, in città dall’opulenza delle abitudini nobili e del commercio delle farine, il quale era tutelato con condanne gravissime contro chiunque avesse tentato di corromperlo.

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